Venti opere, tra dipinti acrilici su carta, chine e disegni a grafite, bozzetti a tecnica mista − per la prima personale di Irene Poli (Pisa, 1979) − sono state selezionate per uniformità di segno e intenti, tra la più recente produzione dell’artista, frutto di una indagine quinquennale.
I colori dei Fauve emergono dominanti dalle carte dipinte ad acrilico; la lezione del primo Henri Matisse, di Andrè Derain, di Aristide Maillol, di Maurice de Vlaminck assimilata, quasi inconsciamente, e riformulata attraverso l’abbacinante luce toscana, imprime ai dipinti presentati in mostra un’aura di incontrollabile gioia, capace di nascondere il tormento, miscelata a una profondità che riflette sul rapporto tra figura e sfondo.
Ne La coperta rossa, immagine simbolo della mostra, il contorno del corpo è fissato in tre differenti livelli di tinte, colori primari che lo trattengono in una posa in cerca di una relazione con lo spazio. I toni del giallo e del verde si aprono poi alla ricerca di uno scambio, di uno luogo di abbandono, nei dipinti Trasparenza, Raggio verde, Luce ed Elevazione, muovendosi verso una astrazione che comprende l’unione tra ambiente e persona, si lascia andare, si apre agli infiniti movimenti e modulazioni della luce. In questi ultimi dipinti, che appartengono a un periodo di lavoro dell’artista tra il 2019 e il 2022, vi è l’anticipazione di una continua osservazione che si spinge fino a Pensieri astratti, il dipinto forse più vicino a quel concetto di ‘astrazione’ caro all’artista, dove coesistano infinite forme. Dal 2017 Poli ha lavorato con le chine giapponesi, avvicinandosi alla calligrafia, peraltro praticata per molti anni, e in mostra sono presenti alcuni esempi con Nudo I, Nudo II e Attesa. Qui il colore è assente, la figura è pura linea, in un approccio che ancora non sente l’esigenza della materia.
L’avvicinarsi all’acrilico, e dunque al colore, pur mantenendo il supporto cartaceo che consente di lavorare in tempi brevi, immediati e istintivi, anche se sostenuti da una esperienza tecnica non secondaria, ha consentito un approccio più materico sofferto, dove libertà di segni e graffiature, si muovono verso una maggiore fisicità. Il corpo della donna, soggetto favorito perché denso di interrogativi, è prima una sorta di grafia corsiva, il segno ne è scrittura e linguaggio. Poi, dal 2019 a oggi l’attenzione si è spostata sul rapporto, ancora, tra il corpo e lo sfondo, ingaggiando una lotta prima definitiva e man mano più liquida, meno costretta da confini. Le linee tracciate con un segno marcato in Identità, Specchio e in parte nel dipinto Linea d’ombra, trattengono una dimensione espressionista, che evoca il segno xilografico, e le linee delle figure di Ernst Ludwig Kirchner ed Erich Heckel.
Non ultima si intuisce quella tensione verso il teatro e le sue regole di spazio concluso che tanta parte ha avuto nella formazione dell’artista, sia nell’indagine del luogo scenografico, sia nella relazione degli attori dentro una scena, forse annullata, forse disposta con l’intento di divenire tutt’uno con la persona.
Negli ultimi dipinti il soggetto umano in realtà si apre, la figura si impone sulla linea, va oltre la dominante del colore che esce dai profili e rende esplicito quanto il corpo non sussista solo in se stesso ma nel miscelarsi tra sé e ciò che sta fuori da sé. Nelle relazioni.